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Rapporto Istat 2016: l’Italia cresce ma senza i giovani

20 Maggio 20163 min read

La presentazione del Rapporto Istat 2016 inizia con un tuffo nel passato. Quest’anno l’Istituto di statistica compie 90 anni e per l’occasione ripercorre la storia dell’economia italiana, dal primo dopoguerra passando per il boom economico degli anni Sessanta e finendo con quella che il presidente Alleva ha definito come “una recessione lunga e profonda senza termini di paragone nella storia di cui l’Istat è stato testimone in questi 90 anni”. 

Fa un certo effetto guardare i dati del 1963, quando l’Italia era in piena espansione economica, con il settore manifatturiero in grande crescita e la disoccupazione era ferma al 3,9%.
5-per-mille-volontariatoOggi la situazione è completamente diversa, anche se, come segnala l’Istat, il Paese è in ripresa e per il 2016 è prevista una crescita del Pil dell’1,1% dopo che nel 2015 il Prodotto Interno Lordo è tornato a correre (+0,8%) dopo tre anni consecutivi di contrazione.
Sono ripresi anche i consumi delle famiglie (+0,9%). La crisi della domanda interna era stato uno dei principali fattori negativi dell’economia italiana.
Solamente le imprese che hanno fatto affidamento sulla domanda estera sono riusciti a limitare l’impatto negativo della recessione.
Anche il mercato del lavoro, nel 2015, presenta dei risultati positivi. Il tasso di disoccupazione si attesta all’11,9% (-0,8%) ed aumenta di 186mila unità il numero di occupati, per lo più con contratti a tempo indeterminato per effetto della decontribuzione sui rapporti stabili, definita dall’Istat come la principale fonte di sostegno all’occupazione.

I dati sul mercato del lavoro appena indicati non devono, però, trarre in inganno. Il miglioramento dell’occupazione non è ascrivile all’ingresso di giovani nelle aziende o nella PA, ma all’aumento dell’età pensionabile che porta i dipendenti di età compresa tra i 50 ed i 64 anni a rimandare l’appuntamento con la pensione. Gli occupati in questa fascia di età, infatti, crescono dell’1,5% rispetto al 2014 e addirittura del 9,2% rispetto al 2008.
I numeri sui ragazzi di età compresa tra i 19 ed i 34 anni sono al contrario molto preoccupanti.  Il tasso di disoccupazione tra i giovani di età compresa tra i 15 ed i 34 anni è del 39,2% ed i Neet, ovvero i giovani che non studiano e non lavorano, sono 2,3 milioni.
Una situazione che migliora, ma solo in parte per i laureati. Il tasso di occupazione tra chi possiede una laurea diminuisce in misura minore rispetto a chi ha il diploma o la licenza media (2,2% contro rispettivamente -5% e 6,3%).
Ma si tratta di differenze di poco conto. Il tasso di occupazione di un laureato di 30-34 anni è passato dal 79,5% nel 2005 al 73,7% di dieci anni dopo.
Capiamo benissimo, dunque, come il mercato del lavoro italiano sia ancora impermeabile all’ingresso di nuove leve. E questo porta i giovani a rimanere ancora lungo nella casa dei propri genitori (l 62,5% dei giovani tra i 18 e i 34 anni vive ancora con i genitori) e a rimandare l’appuntamento con tappe fondamentali della vita come quella della fine degli studi e del primo lavoro.

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