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Focus Censis-Confcooperative sugli effetti dell’impennata di tassi d’interesse e inflazione su famiglie e imprese italiane

28 Luglio 20235 min read

La politica monetaria della Banca Centrale Europea (BCE) volta a contrastare l’inflazione e difendere l’euro dalla svalutazione rispetto al dollaro ha creato un significativo impatto sulle famiglie e le imprese. L’aumento dei tassi di interesse, sebbene finalizzato ad affrontare l’inflazione, ha comportato una “tassa sul macinato” per le famiglie e le imprese.

Secondo il presidente di Confcooperative, Maurizio Gardini, l’impennata dei tassi di interesse e l’inflazione hanno causato una perdita di ricchezza finanziaria delle famiglie pari a 693 miliardi di euro, ovvero circa 3.800 euro a famiglia su base annua.

«La BCE sta provando a contrastare l’inflazione e a difendere l’euro dalla svalutazione rispetto al dollaro attraverso l’aumento dei tassi di interesse. Questa politica monetaria, però, rappresenta una tassa sul macinato per famiglie e imprese. L’impennata dei tassi di interesse e l’inflazione hanno bruciato, infatti, 693 miliardi di ricchezza finanziaria delle famiglie. E lo scorso anno il potere d’acquisto delle famiglie si è ridotto di 100 miliardi di euro: almeno 3.800 euro a famiglia su base annua» ha dichiarato Maurizio Gardini commentando il focus Censis – Confcooperative “L’Italia fa i conti con i tassi d’interesse”.

L’impatto sarebbe stato decisamente più pesante se non ci fosse stato un intervento governativo per 119 miliardi, a vario titolo, che hanno contribuito a mitigare gli effetti negativi.

Il cambiamento nei comportamenti di spesa delle famiglie

L’impatto combinato dell’inflazione e dei tassi di interesse si aggiunge alla riduzione della ricchezza netta delle famiglie. Secondo le analisi condotte, il saldo tra le consistenze attive e quelle passive è diminuito di quasi 700 miliardi di euro nel 2022 rispetto all’anno precedente, rappresentando una riduzione del -14,4%. Tali cambiamenti hanno comportato un significativo cambiamento nei comportamenti di spesa delle famiglie.

Gli aumenti dei tassi di interesse sono stati in particolar modo evidenti nel settore immobiliare, con un aumento superiore ai 200 punti base nel caso di nuove operazioni per l’acquisto di abitazioni e oltre 300 punti nel caso di nuove operazioni di finanziamento per le imprese.

In sostanza, il tasso medio sul totale dei prestiti è passato dal 2,21% di giugno 2022 al 4,25% di giugno di quest’anno, sempre a seguito dei continui rialzi dei tassi di interesse decisi dalla Bce negli ultimi 12 mesi.

In termini reali fra il 2021 e il 2022 la diminuzione del potere d’acquisto, corretta con l’inflazione passata, è superiore ai sette punti percentuali. In termini assoluti, il reddito lordo disponibile delle famiglie si riduce di ben 100 miliardi di euro, in media almeno 3.800 euro a famiglia.

La corsa degli interessi sul debito

Altro fattore da prendere in considerazione è la bolletta salata sugli interessi da corrispondere sul debito balzato a 2.817 miliardi di euro (dato a maggio 2023). L’ultimo documento di Economia e Finanza (DEF 2023), prefigura nel quadro tendenziale, per il 2026, una quota di interessi passivi pari al 4,5% del Pil. Ne discende che la spesa per interessi potrebbe collocarsi intorno ai 100 miliardi di euro (40 miliardi in più rispetto al 2020)-

«Premesse queste – dice Maurizio Gardini presidente di Confcooperative – che rappresentano un fardello pesante per le prospettive di crescita dei prossimi anni con una bolletta che salirebbe fino 100 miliardi di interessi da corrispondere sul debito entro il 2026».

Gli effetti sul mercato immobiliare

L’effetto negativo sulle decisioni di acquisto e investimento delle famiglie si riflette anche nel mercato immobiliare italiano. Secondo i dati diffusi dal Consiglio Nazionale del Notariato, rispetto allo scorso anno si registrerà una riduzione del 17,1% delle compravendite di case fra privati e del 2,5% delle compravendite delle seconde case fra privati.

Nel complesso, le decisioni di acquisto sono diminuite dell’11% per i fabbricati abitativi. Tutto ciò comporterebbe un crollo del 10,1% delle richieste di mutui per l’acquisto di abitazioni e del 9,6% nel caso in cui i mutui richiesti siano compresi fra i 50.000 e i 150.000 euro.

Difficoltà di accesso al credito per le imprese

Le imprese stanno affrontando nuove difficoltà nell’accesso al credito, anche se in misura contenuta. A marzo di quest’anno, i prestiti alle imprese del settore manifatturiero e delle costruzioni si sono ridotti rispettivamente dell’1,5% e dell’1,3% rispetto a marzo dello scorso anno. In particolare, le piccole imprese hanno riscontrato una significativa differenza nell’accesso al credito rispetto alle imprese medio-grandi, con una riduzione del 4,4% per le prime e dello 0,6% per le seconde.

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