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Tfr in busta paga: un fallimento annunciato?

4 Marzo 20153 min read

A partire dal 1° Marzo i lavoratori dipendenti del settore privato, impiegati nella stessa azienda da più di sei mesi, possono richiedere la liquidazione anticipata del trattamento di fine rapporto.
Il Tfr è un accantonamento annuale corrispondente al 6,9% della retribuzione lorda dei lavoratore.
Queste risorse vengono “conservate” dall’Inps per le imprese con più di 50 addetti e per i dipendenti pubblici, mentre rimangono nella casse delle stesse aziende per quelle realtà imprenditoriali con meno di 5o dipendenti.
La cifra accantonata viene rivalutata ogni anno in base ai livelli di inflazione e serve a costituire la liquidazione o una pensione integrativa, da incassare alla fine del rapporto lavorativo.

Aspi anticipata per associarsi in cooperativaMa cosa cambia con il provvedimento del Governo, contenuto nella Legge di Stabilità, che stabilisce le possibilità di chiedere in via anticipata tale somma? A partire dal 1° Marzo e fino al 31 dicembre 2017, i lavoratori dipendenti potranno chiedere l’erogazione immediata, ogni mese, degli accantonamenti maturati dal 1 marzo alla fine del 2017.
Quali sono, però, le conseguenze di questa scelta che, va ricordato. ha un mero carattere facoltativo?
Il lavoratore avrà uno stipendio mensile maggiorato e quindi una disponibilità economica superiore nel breve periodo. Il sito Panorama.it ha calcolato che per uno stipendio di mille euro, l’aumento, tasse incluse, dovrebbe essere di circa 90 euro al mese.

Ma veniamo al punto critico: le tasse per l’appunto. La liquidazione anticipata del Trattamento di Fine Rapporto viene sottoposta, infatti, alla tassazione ordinaria, non a quella speciale come avviene per il normale Tfr.
I lavoratori dipendenti delle aziende private saranno costretti, dunque, a pagare un Irpef maggiore, considerato l’aumento del loro stipendio su base mensile.
La conseguenza è che il lavoratore avrà una liquidità maggiore nel breve periodo, ma una diminuzione delle risorse nel lungo periodo.
Sarà inferiore, ad esempio, la cifra della liquidazione e quella della pensione integrativa.
Non è  un caso, allora, che le richieste pervenute alle imprese siano, al momento, praticamente irrisorie. Secondo quanto riportato da Il Sole 24 Ore, solo il 6% dei dipendenti ne ha fatto richiesta e l’11% dichiara di farlo entro la fine 2015. L’83%, invece, manterrà le vecchie modalità di liquidazione.
Si tratta, dunque, per adesso di un parziale fallimento, neanche troppo imprevisto.
I vantaggi economici sono esigui anche su base mensile e una tassazione più elevata spaventa i lavoratori, già gravati da un imponente carico fiscale. Le stesse piccole aziende sono costrette a chiedere dei prestiti alle banche per evitare ulteriori problemi di liquidità che già affliggono le piccole e medie imprese italiane.
In via definitiva si tratta di una manovra meritevole nell’intento (rilanciare i consumi per far ripartire gli investimenti), ma fallace negli strumenti fiscali adottati.

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