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Ocse: in Italia due milioni e mezzo di giovani non studiano e non lavorano

6 Ottobre 20162 min read

Sono due milioni e mezzo i giovani italiani che non studiano e non lavorano. A riportarlo è lo studio biennale dell’Ocse sulla società, che quest’anno si concentra sul fenomeno dei Neet (Not in Employment, Education or Training). 

L’Italia ha sempre avuto un’alta percentuale di giovani inattivi e disoccupati, accentuata negli anni della crisi. La percentuale di Neet sul totale della popolazione giovanile è cresciuta, infatti, dal 19,5% del 2007 al 26,9% del 2015 ed è di gran lunga superiore alla media Ocse (13,6%).
selfiemployment-garanzia-giovaniIl nostro Paese si trova così al secondo posto, dietro solo alla Turchia, per la diffusione dei giovani che non studiano e non lavorano. A differenza della Turchia, però, dove la percentuale di Neet è diminuita negli ultimi 8 anni, passando dal 42,6% del 2007 al 29,8% del 2015, in Italia i Neet sono aumentati a ritmo sostenuto. Solo la Grecia è stata protagonista di aumento dei disoccupati e degli inattivi tra la popolazione giovanile maggiore rispetto all’Italia.
L’Ocse identifica le cause dell’elevato numero di Neet nella debolezza delle politiche attive, in un’offerta formativa poco orientata al lavoro e nell’elevato tasso di abbandono scolastico. Esiste, infatti, una correlazione diretta tra l’inattività ed il livello di istruzione.

Il 26% degli italiani di età compresa tra i 25 e i 34 anni, infatti, non ha un titolo di scuola secondaria superiore contro la media Ocse del 16,4%. Una persona con un basso livello di istruzione fa più fatica ad entrare nel mercato occupazionale, a maggior ragione in un Paese, come l’Italia, con una scarsa offerta formativa di tipo professionale.
Un altro dato emblematico riguarda il numero di giovani che studiano e lavorano contemporaneamente, svolgendo magari piccole mansioni per iniziare a comprendere le logiche lavorative. In Italia solo il 2% dei giovani lavora mentre è coinvolto nel proprio percorso di studio, mentre la media Ocse è del 12% ed in Germania la quota arriva addirittura al 20%.
Saranno necessari, dunque, dei cambiamenti sostanziali dell’offerta formativa, avvicinando due mondi, quello della scuola e del lavoro, che al momento sembrano anni luce distanti l’uno dall’altro.

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