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Necessarie azioni di contrasto per combattere il falso made in Italy agroalimentare

26 Maggio 20233 min read

Il mercato del falso Made in Italy agroalimentare sta causando un danno economico considerevole alle imprese che producono il vero Made in italy.

Il fatturato dell’export dei prodotti agroalimentari percepiti come italiani vale oltre 129 miliardi di euro, di questi solo il 40% va alle imprese che producono vero made in Italy, il resto alimenta l’industria del falso.

La denuncia viene dal workshop “La cooperazione agroalimentare tra tutela e valorizzazione del cibo italiano. L’export alla prova dei mercati e dell’Italian Sounding”, organizzato da Confcooperative nel corso della prima giornata del Festival dell’Economia a Trento.

In Giappone, Brasile e Germania, solo per citare i primi tre paesi più interessati dal fenomeno dell’Italian Sounding, 7 prodotti agroalimentari italiani su 10 non hanno nulla a che vedere con il vero made in Italy agroalimentare – ha sottolineato il presidente di Confcooperative, Maurizio Gardini – Il mercato del falso nel made in Italy agroalimentare vale più del totale dell’export veramente italiano, nonostante quest’ultimo abbiamo superato la barriera psicologica dei 50 miliardi di controvalore. A fronte di questo risultato il falso made in Italy ha fatto registrare un fatturato poco meno di 80 miliardi, il 60% in più. Un paradosso che produce un notevole danno economico per i produttori e di immagine per l’intera economia del nostro Paese”

“Supportare l’export – ha aggiunto Carlo Piccinini, presidente di Confcooperative Fedagripesca – non significa solamente promuovere, incentivare. Significa anche tutelare, direttamente nei mercati esteri, le quote di mercato che abbiamo conquistato con il grande impegno dei nostri esportatori, proteggendo le nostre eccellenze dalle imitazioni. Significa fare chiarezza su cosa è veramente Made in Italy prima di tutto a casa nostra nell’ottica della massima trasparenza che il consumatore merita”.

I prodotti maggiormente falsificati sono Ragù, Parmigiano e Aceto Balsamico: 6 su 10 di quelli venduti all’estero sono italian fake food, prodotti che di italiano hanno solo il nome, eppure vengono percepiti come tali da chi li acquista. 

Secondo Marco Grazioli, presidente di The European House Ambrosetti, per combattere il fenomeno del falso Made in Italy agroalimentare, occorre muoversi su due piani: uno culturale e uno normativo.

“Sul primo fronte occorre senza dubbio favorire la consapevolezza del consumatore straniero verso le valenze distintive delMade in Italy agroalimentare. Dal punto di vista, normativo invece, è necessario puntare su nuovi accordi dilibero scambio, su intese bilaterali più favorevoli per le imprese agroalimentari stabilendo anche clausole chevietino l’evocazione dell’italianità e dare impulso alla tracciabilità sfruttando la tecnologia di blockchain e smart labeling e, in generale, contribuire a dare supporto tecnologico alle PMI italiane”.

Imporre soluzioni normative e tecnologiche, sommate all’impegno delle realtà produttive, potrebbe mandare un segnale positivo e concreto nel contrasto alla contraffazione.

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