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Le cooperative e l’art. 45 della Costituzione.

8 Ottobre 20145 min read

Il codice di commercio del 1865 conteneva solo pochi e brevi riferimenti alle associazioni mutue, mentre il codice di commercio del 1882 dedicò alle cooperative dieci articoli (artt. 219-228), contenenti una disciplina intesa come una variante delle società commerciali avvantaggiata dalla concessione di agevolazioni fiscali: mancava del tutto una imposizione normativa circa il rispetto del principio di mutualità, con il conseguente pericolo che ad essere favorite fossero le pseudo cooperative, ovvero imprese speculative miranti unicamente a fruire delle agevolazioni fiscali e di altra natura.

Successivamente si ebbe un fiorire di numerose leggi speciali disciplinanti la cooperazione (cooperative di credito, di lavoro, di edilizia, etc), con una sempre maggiore intromissione dello Stato nel periodo fascista, dovuta ad un atteggiamento di grande diffidenza per la cooperazione spontanea. Con l’approvazione nel 1942 dell’attuale Codice civile, le cooperative ricevettero una più ampia e dettagliata disciplina (Libro V, Titolo IV, Titolo VI, Delle imprese cooperative e delle mutue assicuratrici; artt. 2511- 2548). Solo poi, con l’approvazione della Costituzione Repubblicana, le cooperative ricevettero una copertura normativa sovraordinata alla legge ordinaria, nonché un esplicito riconoscimento della loro importanza all’interno del quadro costituzionale.

costituzione-italiana1L’art. 45 Cost recita:
1. La Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata.
2. La legge ne promuove e favorisce l’incremento con i mezzi più idonei e ne assicura, con gli opportuni controlli, il carattere e le finalità.
3. La legge provvede alla tutela e allo sviluppo dell’artigianato.
Tale norma impone una rilettura costituzionalmente orientata del fenomeno cooperativo, ribaltando il precedente approccio basato su di una ricostruzione del fenomeno della cooperazione (ovvero, l’identificazione del relativo istituto) operata partendo da quanto fornito dal codice civile e dalle leggi speciali. In realtà la norma costituzionale ha una mera funzione ricognitiva, e non fondativa, delle cooperative, riconoscendole come organizzazione sociale ed economica preesistente: secondo alcuni autori quella cooperativa rappresentava, nell’intento dei costituenti, un tertium genus di proprietà, da affiancare a quella privata ed a quella pubblica.
Alla cooperazione si riconosce una funzione sociale, il cui contenuto non può che essere definito e determinato dalle finalità che la Costituzione mira a conseguire nel suo complesso, con specifico riferimento ai rapporti economici, quali lo stabilimento di equi rapporti sociali e la rimozione delle strutture monopolistiche: finalità tutte per le quali la cooperazione si pone quale strumento e mezzo funzionale. La funzione sociale, allora, non deve essere intesa come concetto meramente astratto, ma come parte di una interconnessione di diverse norme del testo costituzionale tutte finalizzate alla realizzazione del principio personalistico: non solo i limiti alla proprietà privata finalizzati ad assicurarne la funzione sociale (art. 42), o la possibilità, per fini di utilità generale, di espropriare determinate imprese a favore di enti pubblici o di comunità di lavoratori (art. 43), ma anche la proprietà privata popolare della casa di abitazione, il risparmio popolare, la proprietà diretta coltivatrice (art. 47 Cost.), la partecipazione dei lavoratori alla gestione dell’impresa (art. 46 Cost.), la promozione di forme di sfruttamento del suolo economicamente più razionali e socialmente più eque (art. 44 Cost.), una diffusione più ampia della proprietà privata, la democrazia economica intesa come diffusione del potere economico, all’interno di un progetto unitario di ridistribuzione della ricchezza finalizzato a stemperare le cause del conflitto sociale.
Il favor verso la cooperazione è un risvolto del più generale favor per il lavoro caratterizzante l’intera architettura costituzionale, a partire dagli artt. 1-4: ne deriva un quadro in cui la cooperazione risulta essere un modello egualitario, solidaristico e di gestione collettiva e democratica delle imprese, non un fatto “privato” tra cooperatori ma un vero e proprio modello differenziato (e privilegiato) di conduzione di queste ultime. Un modello prefigurato e concepito quale strumento alla costruzione di rapporti economici e sociali più equi.
Un modello costituzionale, quindi, in cui la cooperazione è intesa in senso tecnico e “stretto” escludendo le associazioni o le semplici collaborazioni), con precisi ed identificati connotati che essa deve avere, condizioni sine qua non senza le quali non si ha tanto cooperazione non protetta ma non si ha cooperazione, ovvero carattere mutualistico (condivisione delle utilità tra i soci) e assenza di finalità antispeculative (rifiuto del mero profitto privato come scopo unico dell’impresa) superando (o sovvertendo) il precedente Stato corporativo, strutturato su di una artificiosa riduzione del conflitto sociale attraverso un profondo controllo statale.

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Avv. Giovanni Russo Russo

Avvocato esperto in diritto civile e diritto del lavoro, seguo con attenzione e interesse il mondo della cooperazione. Appassionato di politica e motori, mi piace scrivere e viaggiare.

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