In media, ogni anno, 24.000 giovani dopo il diploma, approdano ad università del Centro-Nord abbandonando il Mezzogiorno del Paese: uno su cinque!
Di questi, quelli che fanno ritorno ai propri territori d’origine sono all’incirca 6000: vale a dire meno della metà di coloro che, una volta laureati, scelgono di investire i saperi acquisiti nei luoghi di partenza, ricercando occupazione altrove.
I numeri sono dell’Ufficio studi dell’Istituto per ricerche e attività educative (Ipe) sui flussi migratori degli studenti universitari in Italia basata su dati del ministero della pubblica Istruzione, “Migrazioni intellettuali e Mezzogiorno d’Italia” di Serena Affuso e Gaetano Vecchione, nonché dello Svimez.
Un Sud sempre più povero di cervelli, il 20% della popolazione universitaria, che perde così ogni prospettiva di miglioramento non riuscendo ad attrarre, attraverso i propri atenei, altri studenti provenienti da altre regioni.
Calabria, Campania, Puglia, Sicilia e Sardegna, ma anche Basilicata e Molise, le regioni più soggette al fenomeno migratorio e incapaci di attrarre nuove matricole: nell’anno accademico 2010-2011 hanno attratto meno del 10% della popolazione studentesca con “perdite” elevatissime, pari al 40% per la Calabria e più del 30% per la Puglia. Idem per la Campania, dove il bilancio tra nuovi ingressi provenienti da altre regioni e migrazioni è negativo e così per l’Abruzzo capace di attrarre il 47% di studenti ma di perderne di propri in misura del 30%, il Molise che ne riceve il 43% perdendone il 60% e la Basilicata con un saldo negativo del 50%.
A questo punto si può parlare di vera e propria fuga. Le ragioni sono tante e lo spazio poco per avviare ogni riflessione più corposa. Tuttavia è fin troppo evidente che la leva sta nel post laurea, negli sbocchi occupazionali che il Centro-Nord dell’Italia, nonostante la crisi, ancora oggi riesce ad offrire in misura maggiore del Sud.
A ciò si aggiungono alcune differenze riscontrabili nell’offerta formativa proposta dagli atenei, più a contatto con il territorio e, più in generale e dato non trascurabile, una migliore qualità della vita riscontrabile non tanto sul piano relazionale e dei legami familiari quanto nel minor degrado delle città e la minore presenza di fenomeni malavitosi.
E non è cosa da poco.
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