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Calabria: debito record, il Sibari-Crati come il Mose

17 Febbraio 201619 min read

È dal lontano 1954, denuncia Camillo Nola presidente di Confcooperative Calabria, che il consorzio di bonifica Sibari-Crati è commissariato. Un ente che avrebbe dovuto fornire, attraverso soldi pubblici, un servizio idrico efficiente per le imprese agricole della Sibaritide (Cosenza) è stato, in realtà, uno strumento di lottizzazione politica e di clientela.
A questo si aggiungono gli enormi debiti contratti fino ad arrivare alla più recente procedura di liquidazione.
camillo nola confcooperative calabriaCon la legge regionale n. 11 del 2003 la Regione Calabria ha costituito nuovi consorzi gestiti dalle rappresentanze agricole, trasferendo a queste ultime, insieme alla gestione, anche i debiti contratti fino a quel momento.

L’articolo 23 della normativa regionale stabilisce che le imprese agricole e i cittadini con terreni agricoli debbano pagare i debiti indipendentemente da un eventuale beneficio diretto e che tale debito contratto dal vecchio consorzio verrà estinto attraverso un mutuo. Nel frattempo è intervenuta anche la giustizia tributaria con sentenze che in alcuni casi hanno penalizzato pesantemente gli agricoltori, non riuscendo a venire a capo di una legge poco chiara.
Una vicenda, quella dei consorzi di bonifica, che ricorda per certi aspetti lo scandalo Mose, con enti pubblico/privati ed amministratori pubblici coinvolti. La questione, però, non è ancora giunta tra le mani dei magistrati.
La richiesta di Nola è che la Procura della Repubblica faccia chiarezza sui fatti esposti, tutelando gli agricoltori ed i cittadini calabresi.

Vi proponiamo di seguito l’intera intervista di Camillo Nola rilasciata all’ufficio stampa di Confcooperative Calabria.

 

Presidente Nola, l’agricoltura sembra vivere di sovvenzioni pubbliche, ma spesso gli agricoltori rispolverano l’atavico lamento come se tutto fosse negativo…

Il settore agricolo, nel mondo, ottiene da sempre gli incentivi pubblici perché il privato da solo non avrebbe convenienza economica, a causa dei tempi lunghi di rientro e dei copiosi rischi climatici; inoltre la sicurezza alimentare, intesa come garanzia di nutrizione, è sempre stata una relazione pubblico-privata strategica. L’ambiente da preservare è una priorità perché le risorse come la terra e l’acqua sono sempre più limitate e le imprese agricole svolgono un ruolo decisivo.

Sì, ma gli agricoltori non vogliono pagare l’acqua.

Falso. Il servizio di irrigazione va pagato ma l’acqua deve essere pulita, non devono pulirla le nostre imprese agricole associate, investendo ingenti risorse negli impianti di filtrazione.
Chi ha un buon servizio e non lo paga sbaglia e se ne assume la responsabilità. Comunque non ci interessa rappresentare questi agricoltori. Detto questo, il tema dell’uso agricolo dell’acqua in provincia di Cosenza è strettamente legato ancora ad un fardello che dura dal 1954, che oggi è un ulteriore problema che si aggiunge ai mercati agricoli in crisi.

Il consorzio di bonifica Sibari-Crati in liquidazione?

Esatto. La storia si può così sintetizzare: il consorzio in questione, commissariato dal 1954, dopo l’ultimo presidente agricoltore, il rimpianto Camillo Toscano, ha

gestito nel passato attività tra le più disparate con soldi pubblici, dalle grandi opere come le dighe, alle chiese, alla forestazione, oltre agli impianti irrigui. In verità, è sempre stato considerato lo strumento della politica per fare clientela o compiacenza ai fini elettorali.

Si riferisce anche agli stipendi e consulenze degli ultimi commissari Gargiulo e Bilotta?

Su questo specifico episodio rispondo che in Calabria la gente si indigna sempre meno, l’indolenza e la rassegnazione sono germi peggiori rispetto alla disperazione.
Come si fa ad accettare che vengano letteralmente buttati al vento centinaia di migliaia di euro annui per gestire un ente inutile ed inerme distrutto dalla politica, che non è operativo da decenni? Senza peraltro pubblicare i bilanci in barba alle leggi sulla trasparenza e anticorruzione. Non abbiamo contezza dei rendiconti, forse neanche esistono, vorrei chiederlo alla Corte dei Conti regionale.
Questi commissari li abbiamo dovuti pagare noi attraverso le cartelle di Equitalia.
In virtù del potere impositivo, gli agricoltori e tutti i cittadini in possesso di un terreno agricolo sono stati costretti a pagare, spesso ignavi, un obolo specifico a disposizione della politica per ottenere consenso, per costruire e alimentare clientele e compiacenze.
Un vero e proprio finanziamento illecito e coattivo in favore dei politici calabresi di turno al governo.

Poi, la legge 11 del 2003 ha cambiato gli scenari.

Dal 2003 la situazione è cambiata. La politica ha cercato di mettere una toppa furba e al contempo maldestra al problema chiudendo la partita del debito chiudendo la partita del debito, dubbio e in parte “fantasioso”, oppure relativo a progetti finanziati da Ministeri, Agensud, Regione, debito comunque non attinente all’agricoltura.
In che modo? Cercando di rifilarlo agli agricoltori, perimetrando i nuovi bacini dei Consorzi senza criterio tecnico, ma solo in base ai collegi elettorali, e proponendo, in cambio, alle rappresentanze agricole l’occasione di restituirgli la gestione, attraverso nuovi soggetti consortili, che sarebbero partiti però con il fardello dei debiti accumulati dalla politica nei precedenti 50 anni. Debito quantificato inizialmente in 36 mln, accollato per metà alla regione e per l’altra metà agli agricoltori, per i successivi venti anni, più interessi.
In pratica, si trasferì per legge la massa del debito “confusa ed indefinita” di un Consorzio distrutto e ininterrottamente commissariato dal 1954, a Consorzi nuovi di pacca gestiti dalle rappresentanze agricole. E a maggiore garanzia delle banche, che dovevano finanziare con un mutuo l’operazione di saldo e stralcio con i fornitori, si inserì nel testo una novità legislativa unica in Italia per i Consorzi di bonifica. All’articolo 23, è scritto che questa tassa deve essere pagata indipendentemente da un eventuale beneficio diretto e che serve per fini “istituzionali”, mentre il vero obiettivo era di costituire flussi certi per pagare le rate di mutuo contratte per un debito altrui. Il resto lo avrebbe fatto Equitalia in virtù del potere impositivo degli Enti consortili.
Questo patto scellerato fu contestato subito dalle singole imprese agricole nelle commissioni tributarie e da Confagricoltura Cosenza pubblicamente;

Cosa è cambiato nel 2010?

Regione Calabria logoL’arroganza del potere arriva al culmine quando, all’indomani dell’insediamento di Bilotta, nominato dal centrodestra che allora governava la Regione, si riaprì all’improvviso la partita del debito; lo stesso commissario dichiarò che il debito era almeno di 156 mln di euro, non più di 36 mln.
A tale proposito sarebbe utile pubblicare le audizioni, oggi secretate, della commissione di vigilanza del consiglio regionale dell’epoca, con i due commissari che di fronte raccontavano la storia del disastro. In quelle carte ci sarebbero stati gli estremi per portare tutto in Procura, perché si stava scrivendo ufficialmente la storia dello “scandalo Mose” della Calabria.
Preciso, che in diverse occasioni Gargiulo informò la rappresentanza agricola che durante la sua gestione si era arrivati ai 36 mln attraverso trattative di saldo e stralcio con i fornitori, perché in alcuni casi riuscì agevolmente ad ottenere cospicui sconti.
In ogni caso, resta paradossale assistere a due tesi completamente contrapposte senza arrivare ad una conclusione amministrativa supportata da un bilancio trasparente e soprattutto definitivo.

Nel frattempo le commissioni tributarie cominciavano a dare torto agli agricoltori.

Le sentenze si rispettano, non si commentano. Il problema ha origine dai tempi lunghi della giustizia tributaria (indeterminabile il tempo per ottenere una sentenza di secondo grado), perché non si arriva mai a decidere sul tema sostanziale della anticostituzionalità e dalla circostanza che nel frattempo le azioni esecutive possono proseguire arrecando gravi danni alle imprese anche in termini di merito creditizio, se resistenti in giudizio.
Comunque, restano il conforto della copiosa giurisprudenza anche con sentenze di primo grado passate in giudicato, e la nostra estrema fiducia nella giustizia nei vari gradi di giudizio.

Un pozzo senza fondo, ed un sistema contorto che la giustizia tributaria non risolve in modo definitivo, quindi..

L’indignazione verso l’entità degli stipendi o le consulenze dei commissari è un aspetto grave ma pure superficiale della vicenda. Il problema non si può risolvere nel breve solo attraverso le commissioni tributarie, e la politica finora non ha avuto la forza di affrontare le conseguenze di questo scandalo, potenzialmente deflagrante, quindi bisogna elevare il livello del problema su un altro piano. Affrontare la situazione del Consorzio Sibari-Crati è come cambiare la Calabria, rivoltarla, pertanto si deve afferrare il toro per le corna.
Nelle sedi opportune, solleciteremo un intervento delle Autorità competenti, per vagliare in profondità le gestioni economico finanziarie di questi decenni e contemporaneamente metteremo alla prova i nuovi consiglieri regionali.

In che modo intende coinvolgere il consiglio regionale?

Se approveranno gli iter per consentire ai nuovi consorzi di difendersi meglio in giudizio senza prima cambiare l’articolo 23, che è ingiusto prima che anticostituzionale, faremo battaglie pubbliche, coagulando altre attività parallele di protesta che germogliano.
Presto incontrerò il Presidente Irto per informarlo sulle nostre iniziative e per chiedere un suo intervento. Conto sul fatto che è un giovane e non ha scheletri nell’armadio.
L’agricoltura non può fare da bancomat alla politica, né ora né mai.

Ma adesso i nuovi consorzi di bonifica sono gestiti dagli agricoltori.

Sbagliato. Sono gestiti da uomini della Coldiretti, che è un organismo che rappresenta solo una parte degli agricoltori. A questo proposito, se provassero a gestirli lavoro nero agricolturasenza la certezza dell’articolo 23, sono certo che avrebbero l’opinione pubblica a favore;
inoltre dovrebbero garantire gli investimenti per consentire di estendere il servizio irriguo alle imprese agricole che da anni lo pretendono.
Dai dati in nostro possesso si parla complessivamente di un 8% di aree irrigue contro il 92% di asciutto. Ci sono casi documentati nella piana di Sibari di aziende, coperte dal servizio per un 20%, che attingono l’acqua dai pozzi che costano in proporzione 10/12 volte, il vile tributo per ogni ettaro e che avrebbero enorme interesse ad avere un servizio irriguo più esteso.

Insomma volete interrompere i numerosi giochi di potere in corso…

Nel passato agricoltori e cittadini hanno subito questa tangente occulta per finanziare le schifezze della politica, oggi si finanziano gli Enti gestiti da Coldiretti, che fatica a comprendere che i consorzi di bonifica sono una vera impresa economica, che come tale vanno gestiti, riorganizzando la pianta organica con criteri di efficienza e competenza e, soprattutto, spingendo sugli investimenti poiché ci sono ancora infrastrutture obsolescenti dell’epoca di Mussolini.
Senza parlare del vorticoso giro di affari (parliamo di decine di migliaia di cause) che questa situazione genera a favore del settore legale a Cosenza; e dell’impatto drammatico sul lavoro delle Commissioni tributarie che sono oramai paralizzate.
Bisogna uscire da questo ginepraio, che condiziona pure l’organizzazione del lavoro a livello di giustizia tributaria. Esistono gli strumenti normativi, ma devono essere applicati.
Senza una giustizia tributaria rapida l’economia complessiva nel cosentino affonda.

Cosa ci rimane di questa vicenda tutta calabrese?

Rimane la triste constatazione che in Calabria forse solo attraverso la giustizia penale si potranno ottenere le soluzioni ai problemi e che la politica finora non è riuscita a battere colpi, a reagire, ad individuare quelle sacche persistenti che tolgono forza e futuro alla regione.

Ma il governatore ha recentemente sostituito il commissario, dandogli specifici compiti.

Abbiamo fiducia nel Governatore, ma non conosco l’attuale nominato, saremo ben lieti di assistere ad una svolta; però nelle premesse della delibera di giunta abbiamo letto che almeno due dirigenti regionali hanno rifiutato l’incarico motivando con nette considerazioni la scelta.
La portata di questa vicenda è tale per cui occorrerebbe un commissario tipo Giorgio Ambrosoli, un profilo di eroe borghese difficile da replicare. Non basterà, quindi, limitarsi alla verifica della congruità dei costi dei commissari precedenti, va affondata con determinazione la lama nella palude del “piccolo Mose”, portando al più presto le carte in Procura della Repubblica, cosa che finora non ha voluto fare nessuno, o perlomeno non se ne ha conoscenza.

Perché solo Confcooperative e Confagricoltura stanno facendo questa battaglia?

consorzio di bonificaLa seconda amara considerazione è che anche gli organismi intermedi non battono colpi da diverso tempo. Quelli che dovrebbero filtrare le istanze dei cittadini e delle categorie verso la politica, il sale della democrazia. Invece, producono tutti i giorni solo convegni per interrogarsi sulle ricette per lo sviluppo.
La debacle morale della Calabria è dovuta anche all’inerzia di chi dovrebbe rappresentare gli interessi legittimi delle forze sane di questa Regione.
Il silenzio delle altre associazioni di categoria é stato e resta un fatto grave e incomprensibile, oppure più probabilmente, la compiacenza verso i singoli interessi e la politica ha avuto la meglio.

Cosa chiede oggi il Presidente di Confcooperative?

Semplicemente, quanto detto, cioè di portare le carte in Procura, oppure di affiancare al commissario, un pool di giovani ufficiali in aspettativa dalla Guardia di Finanza e dai Carabinieri, per via della complessa e oscura matassa da sbrogliare.
Leggendo i soli verbali della commissione speciale di vigilanza, a mio parere, ci sono ampi spunti per aprire un’indagine approfondita.

La sua, è una dura denuncia anche contro chi si occupa di sindacato per le imprese…

Non devo occupare spazi di visibilità. Il mio unico obiettivo è rappresentare gli interessi della parte sana delle imprese, che oggi sono esposte a mille soprusi e angherie, e stimolare il senso di indignazione che è un ingrediente fondamentale nelle democrazie e da noi spesso manca; resto consapevole che la strada per la risalita morale è tortuosa, ma se vogliamo cambiare le cose dobbiamo impegnarci mettendoci la faccia, tenendo conto che la dignità non ha prezzo.

Ritiene che ci siano i margini per recuperare almeno questi nuovi Consorzi?

Sono pessimista. Oggi non sono in grado di dare le risposte che le imprese agricole attendono da anni. La soluzione più razionale sarebbe di riaffidarli alla Regione, che dovrebbe riunire sotto un’unica regia l’intero sistema di gestione delle acque, potabili e per uso agricolo.

Quindi lei è del parere che occorra socializzare le perdite inserendoli nel bilancio regionale. Il cittadino dovrà pagare questo ennesimo scandalo?

Stiamo parlando di debiti contratti dalla politica negli ultimi 50 anni, che devono tornare ad essere gestiti da chi li ha generati, oppure da Autorità preposte per verificarne certezza e congruità.
Purtroppo, restano debiti pubblici  le cui conseguenze saranno pagate dai cittadini, e di questo dobbiamo esserne consapevoli, ma almeno si metterà un punto fermo da cui ripartire in modo serio.
Ovviamente, mi auguro che a pagare siano, soprattutto, coloro i quali hanno amministrato male e quelli che hanno rubato risorse e opportunità al territorio mettendo a rischio le attività agricole in provincia di Cosenza e non solo.
L’agricoltura deve pagare il costo di un buon servizio irriguo o di un investimento, che crea un beneficio diretto, tangibile ed inequivocabile alle imprese.

 

 

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